Dal governo Draghi a quello Meloni non c’è –e continuerà a non esserci– discontinuità nelle linee di fondo (indirizzi di politica estera e collocazione geopolitica atlantica, con correlate politiche economico-sociali di matrice euro-unonista) fatti salvi interventi ‘di bandiera’ (ravers, immigrati dei barconi e poco altro) del nuovo esecutivo a guida Fratelli d’Italia (FdI). C’è da rassicurare l’elettorato di riferimento e soprattutto levare una cortina fumogena sul fatto, già palese, di non aver in testa alcuna adeguata soluzione ai gravi problemi economico/sociali di larghi strati di popolazione italiana. Nulla però che, ad oggi, giustifichi chi, per drenare emotività e consensi contro “nemici di comodo”, tuona su ritorni di ‘fascismo al governo’: uno strabismo politico (diffuso nella sinistra soprattutto liberal, che poi sostiene il neonazismo al governo e nelle istituzioni politico/militari in Ucraina) nel contesto di accuse surreali reciproche tra le diverse, ambiziose e, per questo, conflittuali frazioni politiche sub-dirigenti italofone (sinistre e destre liberal), tutte europeiste (da varia angolazione) ed atlantiste, per reggenze di ‘potere’ contoterziste e anti-nazionali. L’elemento di novità ben più significativo sta nel contesto internazionale –epicentro l’Ucraina– che rappresenta un tornante epocale, storico: gli Stati Uniti, per la propria sopravvivenza come Impero, stanno alimentando in varie parti nel mondo tensioni o scontri contro chi non accetta il suo predominio, contro chi disattende le regole che impone, contro chi è –o si profila come– un ‘grande competitore’. In questa fase, in modo ancor più evidente che in passato, i nostri interessi nazionali –come quelli di buona parte dei Paesi membri della UE– non coincidono con quelli statunitensi. Eppure ancora vige un fortissimo condizionamento politico-mediatico che si può rilevare su un punto apparentemente incidentale: chi si esprime sulla guerra o sulla pace in Ucraina, tanto più se muove qualche obiezione o critica, si sente quasi sempre in obbligo di precisare subito che “condanna l’aggressore” e difende le “ragioni dell’aggredito”.

Gli Stati Uniti usano la NATO e il conflitto in Ucraina per minare l’economia dei Paesi (concorrenti) ‘europei’ e rafforzare su di loro il controllo politico; inoltre spingono gli alleati/subalterni ad aumentare le spese, formalmente per la loro difesa, in realtà per i propri obiettivi strategici. Qui, sempre più impellente, sta la linea di demarcazione storica, geografica, politica, non ancora anche ‘ideologico’ cui non ci si può sottrarre: da che parte collocarsi, se (continuare a) stare nel quadro NATO e della sua appendice UE oppure sganciarsi, rendersi neutrali! Non si vede come i Paesi europei, anche quelli con economie significative, possano trovare forniture alternative serie che colmino il vuoto creato dalle sanzioni e non perdere competitività a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia, di risorse e di una grave situazione inflazionistica. Fattori, questi, che hanno già innescato reazioni a catena e danni sistemici attualmente in progressione sui sistemi economico-sociali, con implicazioni e ricadute oggi inimmaginabili, quali un ripiegamento sui propri interessi di Stato, una competizione politico/commerciale tra gli stessi Stati europei sui mercati internazionali, o il rifiuto di condividere giacenze o scorte di materie prime, merci, prodotti, con possibile –per “Indipendenza” auspicabilissimo– processo di disgregazione della UE stessa. Per quanto riguarda l’Italia, molto dipenderà da come la guerra in Ucraina, la crisi energetica e quella produttiva tedesca si rifletteranno nel Paese e come di fronte ad esse reagiranno le forze politiche. Del resto si è fortemente ridimensionata l’aspettativa –nei governi occidentali– che quella con la Russia fosse una ‘pratica’ rapida da sbrigare per impantanarla nella guerra, piegarla economicamente con le sanzioni, rovesciarne l’attuale dirigenza, tornare ad asservirla all’Occidente come si era iniziato a fare con Gorbaciov e soprattutto con Eltsin. Questa faccenda, per loro, si sta rivelando molto più complicata e lunga del previsto, con un esito non scontatamente favorevole, e sta mettendo in difficoltà più gli Stati europei (ed anche Gran Bretagna e USA) che non la Russia, un Paese, come la Cina, ben più ‘centrale’ e militarmente potente, dei Paesi di ben diverso ‘calibro’ (Jugoslavia, Somalia, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, eccetera) messi nel ‘mirino’ dalla Casa Bianca nel trascorso trentennio.

Il precipitare di questo tornante ha accelerato, sotto tutoraggio ‘interno’ dell’asse Mattarella-Draghi, i tempi per la transizione ad un nuovo esecutivo. È bene ricordare quel passaggio: Draghi lascia Palazzo Chigi pur avendo una nutrita maggioranza e Mattarella, contravvenendo alla Costituzione e alla prassi, nemmeno verifica l’esistenza delle condizioni per proseguire l’azione di governo, ma rinvia alle urne (a fine estate) e velocizza le tempistiche di insediamento del nuovo, prospettato (da dinamiche politiche e sondaggi) esecutivo che già dava rassicurazioni di muoversi entro il perimetro da Draghi tracciato –più marcatamente dei suoi predecessori– in termini europeisti e nella sua centralità di indirizzo atlantico.
Non è stato accidentale che Draghi, non avvezzo a subire le conseguenze delle sue scelte e dei suoi errori, si sia chiamato fuori. Peraltro il personaggio, sporadiche dichiarazioni di facciata a parte, nutre un mal celato disprezzo per i politici e la democrazia parlamentare. Il suo «metodo» è un decisionismo che marginalizza partiti e parlamento; la ‘sua’ «agenda» è stata quella di Bruxelles, Francoforte, Washington, perseguita da “pilota automatico” come lo stesso, in qualità di presidente della Banca Centrale Europea, aveva teorizzato circa dieci anni prima, a significare l’irrilevanza della sfera politica in campo decisionale. Soprattutto era consapevole dell’arrivo dello tsunami post estivo, capace di travolgere non solo il suo governo ma anche la sua stessa persona. Del resto è ambizioso –nonostante il mancato successo quirinalizio– e quindi ha preferito staccare la spina e attendere il momento giusto per insediarsi o alla NATO o al FMI o al Consiglio Europeo o come amministratore delegato in qualche grosso ente o banca d’affari statunitense, arrivandoci senza ‘macchie’.

Non stupisce, e del resto lo attestano dichiarazioni reperibili in rete della neo presidente del consiglio (ad es. sul “debito”), che il primo atto significativo dell’attuale governo (il Documento di Bilancio) sia improntato a un modello politico-sociale ultra-liberale in sintonia con l’asse Bruxelles-Francoforte, che tanti danni sta facendo da decenni. La speranza di cambiamento che ha portato alcuni milioni di italiani a votare FdI (unica forza politica cui è bastato fare una parvenza di opposizione al tempo del governo Draghi …) fluttua da almeno un decennio: a suo tempo ha confidato nel PD di Renzi, poi nel M5S di Grillo, quindi nella Lega di Salvini. Priva di connotazione ‘ideologica’, cerca pragmaticamente protezione e sicurezza a fronte degli sconquassi sociali e delle paure che la ‘globalizzazione’ produce, e vota il ‘soggetto politico’ che di volta in volta gli appare ‘discordante’ dal circuito dominante e con qualche possibilità di incidere. Un voto più di protesta che ‘anti-sistemico’, il quale, con la stessa rapidità con cui arriva, altrettanto rapidamente migra quando non trova soddisfacenti risultati.
I proponimenti emozionali di stampo ‘patriottico-sociale’ che la Meloni e FdI proclamano contestualmente e contraddittoriamente insieme alla fedeltà all’alter-europeismo, all’atlantismo e alla relativa compagnia di giro di vincoli e di subalternità, sono destinati quindi ad essere ben presto disattesi, tanto più nell’attuale ed epocale fase di scontro che gli Stati Uniti hanno cercato e costruito contro la Russia. FdI crede ai dogmi neoliberisti dell’onnipotenza dei mercati, delle liberalizzazioni e dei tagli alla spesa pubblica, è allineato ai voleri di Washington e alle sue guerre via NATO, non mette in discussione il vincolo esterno di Bruxelles e la moneta unica. Su Draghi ha espresso elogi a non finire. Peraltro, qualora l’europeismo confederale con ‘tonalità’ italica della Meloni dovesse mai scontrarsi su una qualche controversia un po’ seria con altri di diversa provenienza (ad es. quello germanico) o federalista (cioè quello atlantico), sono prevedibili non solo interventi ‘europei’ di messa in riga («abbiamo gli strumenti», Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, all’università USA di Princeton, dixit… ) ma anche, per i numeri in parlamento, problemi dai suoi alleati di governo che già non vedono l’ora di scalzarla. Ma, ripetiamo, sono soprattutto gli effetti del contesto internazionale che potrebbero sparigliare gli assetti politici interni. Come già fu per la caduta del Muro di Berlino, che determinò a cascata una serie di rivolgimenti profondi (in Italia: operazione politico-giudiziaria di “Tangentopoli”, integrazione europea più stringente con il Trattato di Maastricht, nascita della ‘seconda repubblica’, avvento del berlusconismo in alternanza con il salsiccione metamorfico PDS-DS-PD…), dietro l’angolo c’è un altro terremoto epocale, se si consumasse la sconfitta della NATO in Ucraina.
Ciò che allo stato è più grave, però, è che, come nel precedente storico su richiamato, tutto potrebbe avvenire ed essere riassorbito senza alcun protagonismo popolare, e che quindi l’onda lunga che arriverà –quanto già arrivato è ancora poca cosa– si risolva in un riassestamento del sistema NATO-UE nel nostro Paese. Di più, venuto meno Draghi come ‘bersaglio grosso’ di ciò che ha rappresentato al governo, le proteste potranno essere smorzate lungo il più confortevole e stabilizzante asse della confliggenza estetica tra destre e sinistre liberal.

Su ben altro versante, chi dice di opporsi a questo sistema di dominio, ha l’obbligo, il dovere morale di prendersi sul serio. Ora, se è abbastanza facile identificare a grandi linee gli elementi in comune in termini di opposizione (NO NATO e NO UE, innanzitutto) assai più complicato è trovare gli elementi in comune in termini di proposta. Ad esempio, per restare a quei punti nodali, l’alternativa alla NATO è un esercito europeo o un esercito nazionale? L’alternativa alla UE sono gli Stati Uniti d’Europa oppure un ripristino della sovranità nazionale? Lo stesso concetto di “sovranità” come intenderlo? Quale visione alternativa si ha per affrontare credibilmente le diverse problematiche che attanagliano la società italiana? Sulla sanità, la scuola, il sistema pensionistico, il fisco, la difesa del Paese, l’economia, il sistema bancario e finanziario interno ed estero, i trasporti, l’agricoltura, sul rilancio industriale ed i suoi nessi con l’ambiente, sulle telecomunicazioni ed il rapporto con le tecnologie, su questo e altro si ha contezza dei problemi e di quali soluzioni? Sulla ‘spada di Damocle’ del debito estero, su come affrancarsene e come affrontare le conseguenze di chi userà le leve finanziarie (es. Grecia) per soffocare qualsiasi possibilità di emancipazione, si ha un’idea? Indicare genericamente un’azione articolata tra istituzioni, web e piazza, significa poco o nulla. Finalizzare l’azione politica ad una strategia a breve (“mettere piede nelle istituzioni per avere un ‘diritto di tribuna’ e parlare a platee più ampie“) senza averne una di medio-lungo periodo, senza idee robuste su quali obiettivi intermedi perseguire e su come affrontare il “nemico” vero, a cominciare dai poteri interni e sovranazionali che tengono sotto scacco pure governi ‘amici’ –della Meloni come tutti quelli precedenti– significa condannarsi al velleitarismo. Senza un pensiero politico ‘egemonico’ ed una “visione” di prospettiva, senza una cultura di governo e quindi una mentalità di costruzione di un’alternativa, senza un’organizzazione politica che si faccia carico di ‘strutturare’ la protesta, “fare opposizione” si stempera nella perdita di credibilità, si condanna all’obsolescenza, alla sterilità e, senza volerlo, finisce con l’essere comodamente funzionale al sistema di potere che si dice di voler combattere.

Indipendenza
(n. 53 – novembre/dicembre 2022)