La situazione economico-finanziaria di Atac, la municipalizzata del trasporto pubblico locale romano, è compromessa tanto da trovarsi in concordato, una procedura alternativa al fallimento che punta a risanare e salvare l’azienda. Intenzione lodevole se si parla di un’attività imprenditoriale, uno strumento drammaticamente inefficace se applicato al soggetto preposto a garantire il diritto alla mobilità della capitale d’Italia, città peraltro soffocata dallo smog e da un traffico privato congestionato già ben oltre l’accettabile. Va detto, tuttavia, che nel quadro normativo attuale egemonizzato dal liberismo l’opzione del concordato è comunque la meno peggiore possibile.
Su questa delicata fase si è abbattuta la pandemia e le sue ripercussioni economiche, con il crollo dei ricavi da vendita dei biglietti (-60%), ma anche comportamentali, giacché qualsiasi dimensione ‘collettiva’ e ‘pubblica’ è stata immolata sull’altare del distanziamento sociale: un fatto che condizionerà in modo pesantissimo e a lungo la cultura collettiva nell’utilizzo del trasporto pubblico destinato a rimanere ‘l’ultima spiaggia’ per chi, per motivi economici, è obbligato a ricorrervi, anche subendo il rischio della mancanza di distanziamento sociale. Una tempesta perfetta.
Il mandato amministrativo che si chiude è quello in cui si è svolto il referendum civico promosso dai Radicali (novembre 2018) per la messa a gara del trasporto pubblico locale a Roma e per l’incentivo di nuove modalità di trasporto collettivo –leggasi Uber e altre frontiere dello sfruttamento per il capitalismo delle piattaforme– dimenticando che già ora un quarto del trasporto pubblico è in mano al consorzio Roma TPL in regime di affidamento, al di fuori del perimetro ATAC, proprio nelle più svantaggiate aree periferiche, con la prospettiva di aumentare dal 2022. Insomma, se in periferia i trasporti non funzionano… è il caso di estendere quel metodo di gestione anche altrove.
Se Atac si trova tra incudine e martello è dunque il caso di domandarsi come forgiare un’alternativa: assodata come presupposto la titolarità pubblica della società e la riacquisizione delle linee oggi in concessione ai privati puntando a maggiori economie di scala, va necessariamente affiancato un progetto di legalità costituzionale mediante una riscrittura dello statuto sociale su basi partecipative che puntino al coinvolgimento diretto ed effettivo dei lavoratori e degli utenti nei meccanismi di governo e organizzazione dell’azienda. Un’impresa pubblica perché della collettività dei romani, non della maggioranza politica del momento: chi ha davvero a cuore il buon funzionamento di Atac è chi la deve gestire.
Un modello di democrazia economica in grado di mettere in discussione i costi gonfiati per le esternalizzazioni dei servizi, manutenzioni in primis, ma anche consulenze e incarichi, ampliare i servizi offerti puntando all’intermodalità e all’integrazione con i circuiti ciclabili fungendo da braccio operativo dell’amministrazione nella promozione di una politica alternativa nella mobilità.
Proponiamo cioè qualcosa di ‘nuovo’ solo perché la Costituzione non è mai stata applicata davvero e intendiamo saldare questa rivendicazione con un ulteriore livello: la creazione di un polo pubblico per la produzione degli autobus e dei mezzi del trasporto locale cui affidare il rinnovo del parco mezzo e rilanciare tutta la filiera della mobilità collettiva.

Alberto Leoncini
(n. 51 – settembre/ottobre 2021)

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