Uno spettro si aggira sui colli Berici. A Longare, circa 10 chilometri da Vicenza, si trova la base statunitense denominata “Pluto”. Nella mitologia greca, il dio della ricchezza; ma è probabile che il nome corrisponda al nominativo latino “Pluto” (genitivo: Plutonis), Plutone dio degli Inferi. In gran parte sotterranea, sottrae alla cittadinanza un’area di oltre 20mila metri quadri sul versante est dei Colli Berici. Non è noto, invece, a quanto corrisponda l’estensione sotterranea. Fino al 1992 rappresentava la più importante sede statunitense di armi nucleari in Italia. A distanza di anni, gli effetti perversi continuano a farsi sentire. Sia a nord (zona di Bugano) che a sud (Costozza) la percentuale di leucemie, in particolare tra i giovanissimi, è al di sopra della media. Un caso? Ma evidentemente non bastava. Ora Pluto sta per diventare un “Centro di addestramento unificato” di rilevanza internazionale. Circondata da un muro in cemento armato alto sei metri, con una nuova struttura di circa 5mila metri quadrati che verrà realizzata all’interno e comprendente aule e celle operative per “studio-tattiche” in supporto alla Difesa nazionale USA. Oltre ad un parcheggio per veicoli tattici di 1600 metri quadrati e ad altri interventi devastanti per l’ambiente come il disboscamento della vegetazione per far spazio alle esercitazioni (si presume anche dei blindati). In pratica, un campo di battaglia ed un immenso poligono di tiro da realizzare entro il 2013. Un centro di avanguardia per «addestramenti mirati, pianificazioni delle missioni all’estero» e per simulare ambienti virtuali così da mantenere un «alto livello di prontezza operativa». Nel colonizzato territorio vicentino la fase suprema del capitalismo dispiega tutta la sua geometrica potenza! 

Spese previste: 26,2 milioni di dollari (21 milioni di euro). Specchietto per le allodole (o meglio, per gli allocchi) i «criteri di eco-sostenibilità». I soliti pannelli solari diventati ormai l’ipocrita foglia di fico dell’immondezzaio tecno-militare. Se Hitler avesse vinto, probabilmente anche i forni crematori dei campi di sterminio utilizzerebbero il fotovoltaico. 

Appare evidente che la devastante opera è una diretta conseguenza, un “completamento” della realizzazione della nuova base Dal Molin e della creazione del comando Africom a Vicenza. Una metastasi senza fine favorita dalla realizzazione della A31 (autostrada Valdastico), la “tangenziale perfetta” per il sistema della basi statunitensi nel vicentino (Dal Molin, Ederle, Fontega, Pluto…oltre a depositi, impianti radar e “villaggi americani” vari come a Casale…). In totale almeno una quindicina di siti. 

Indicativo dello stato di sudditanza (al limite del collaborazionismo) in cui versa questa provincia “patrimonio dell’Unesco”, il fatto che l’amministrazione locale si sia svegliata soltanto “il giorno dopo”, apprendendo dai giornali quanto deciso e stabilito dalle truppe di occupazione. 

Ma non tutti si adeguano passivamente. Il 2 settembre la “Brigata Silva” è ridiscesa dai monti, stavolta armata di pentole e casseruole. E anche di qualche cesoia. Mentre centinaia di manifestanti esprimevano il loro legittimo dissenso davanti ai cancelli del sito e chiedevano la “sdemanializzazione dell’area” (come era stato promesso qualche anno fa, prima della realizzazione della A31), altri raggiungevano attraverso i boschi la recinzione tagliandola in alcuni punti e lanciando fuochi d’artificio. 

Tra gli slogan maggiormente scanditi «Non siamo una colonia USA», «Siete circondati, ve ne dovete andare» e «‘mericani fora dae bae». 

Di fronte alla base “Pluto”, a San Piero Intrigogna, appena al di là del Bacchiglione, troviamo le Boche del Tesena, dove il fiume Tesina confluisce nel Bacchiglione. E il Tesina non è altro che la prosecuzione dell’Astico che nasce in Trentino, in vista a Lavarone e Luserna, transita per Casotto, Scalzeri (da cui si inerpica verso Luserna un sentiero già percorso dai partigiani della Brigata Ismene), San Pietro Valdastico, Pedescala (tristemente noto per l’eccidio nazi-fascista), Barcarola, Arsiero. Scorre vorticoso sotto al salto dei Granatieri (Monte Cengio) e poi, con un’improvvisa deviazione, relativamente recente stando ai tempi geologici, si infila tra l’Altopiano di Asiago e le colline Bregonze, in quella zona del vicentino dove ebbe inizio e si manifestò in maniera talvolta drammatica la “breve estate dell’Autonomia” negli anni Settanta. Sfiora o attraversa Cogollo, Caltrano, Chiuppano e Calvene per poi riprendere la corsa verso sud. Tocca Breganze, Sandrigo, Lupia e Lupiola. Nei pressi di Lupia riceve dalla sinistra orografica le acque di un piccolo corso d’acqua che nasce poco prima da una risorgiva, il Tesina appunto. Cambia quindi nome, ma il percorso e la direzione rimangono quelli dell’Astico la cui natura torrentizia lo rende potente in periodo di disgelo. Per chi cammina sull’argine della destra orografica non è facile individuare quale sia il punto del cambio anagrafico. Da segnalare la presenza, almeno fino agli anni Cinquanta, di qualche esemplare di lontra nella striscia di terra all’epoca ricoperta da folta vegetazione. La zona venne devastata per iniziativa istituzionale una ventina di anni fa. Alberi tagliati, anse raddrizzate, rive cementificate. Trasformando il limpido corso d’acqua in un canale di scolo.  

Il cammino del fiume prosegue verso Bolzano vicentino, Quinto, Marola e Torri di Quartesolo, evitando Vicenza e confluendo nel Bacchiglione a un centinaio di metri dal campanile di San Piero Intrigogna, in origine una curtis benedettina. Poco prima della confluenza riceve da destra la roggia Caveggiara.  

In un certo senso il sistema Astico-Tesina costituisce la spina dorsale, liquida, delle campagne vicentine, dalle Prealpi alla pianura vera e propria. Ora questo percorso naturale, i cui argini vengono ancora utilizzati nelle transumanze verso i pascoli montani, si va trasformando in un nastro di cemento e asfalto, circondato da caselli, aree industriali, basi militari e altre schifezze.  

Stando ai racconti di mia nonna Pina (da bambina lavorò come mondina, sia a Grumolo che a Mossano), la lontra agli inizi del secolo scorso frequentava anche la zona delle Boche del Tesena. Lei la chiamava sgora, essere misterioso che trascinava in fondo al fiume i bambini discoli. Fino ad un paio di decenni or sono, mi capitava di incontrare qualche anziano che si ricordava di mio nonno Augusto (un obligato, contadino povero senza terra). Proprio in questo spicchio di terra retaggio delle bonifiche del 1300, aiutato da mio padre ancora bambino, venne incaricato dal proprietario dell’abbattimento di alcuni morari e albare rimasti in parte ricoperti dal terrapieno del nuovo argine. Tutto «a man col pico, la baila e la cariola» racconta mio padre. In cambio del duro lavoro, ai miei familiari sarebbero toccate le rame alte e le soche estratte dal terreno. Il legname più pregiato, sia per lavori che per riscaldamento, ovviamente andava ai paroni. Per saperne di più sul “piccolo mondo antico” di San Piero, Deba e Casaleto suggerisco la lettura di “Mio padre partigiano” pubblicato su “A” n. 289 (aprile 2003) dove ho raccontato di un tentativo fascista di far ingurgitare a mio nonno l’olio di ricino (previa manganellatura di rito). La bieca operazione venne stroncata da mia nonna a colpi di forcone. Non fu invece altrettanto fortunato mio zio Attilio Fasolato (detto Tilio, come l’albero), operaio e sindacalista allo stabilimento Rossi di Debba. Solo recentemente ho saputo che la stessa sorte era toccata anche ad un vicino dei miei, el scarparo Farinello, anche lui socialista. 

Costui trovò però il modo di vendicarsi. Fingendo di accettare umilmente la predica e le raccomandazioni per «comportarsi bene in futuro», dopo il pestaggio acconsentì a offrir da bere alla squadraccia. Portò in tavola del cordiale a cui aveva aggiunto parecchie gocce di un forte lassativo. Ritornate a casa, le camicie nere dovettero immediatamente correre al cesso. All’intraprendente antifascista arrivò una lettera minacciosa che lo preavvertiva di una ulteriore visita non propriamente di cortesia. Ma i socialisti del luogo si organizzarono. Quando il camion della spedizione punitiva transitò per la Riviera Berica, i compagni vennero allertati, come era stato convenuto, dal suono delle campane di San Piero Intrigogna. Prontamente radunatisi, bloccarono la squadraccia all’altezza della Pontara tra Debba e San Piero e l’olio di ricino venne forzatamente ingerito dai componenti della squadraccia. Un piccolo gesto di resistenza di cui si era persa la memoria e che riscatta la popolazione locale, talvolta troppo umile e sottomessa al potere. E dopo quelli dei fascisti, sulla strada che da san Piero porta a Vicenza passando per Casale (all’epoca ancora strada bianca), transitarono i camion statunitensi. Il mio primo incontro risale agli anni Cinquanta. Abitavo a Casaletto, una contrada la cui parte più consistente era costituita dall’abitazione e dalle stalle dei Dalmaso, gli affittuari. In prossimità di un piccolo rilievo, el monteseo, recentemente devastato da alcune costruzioni e da un centro di addestramento per cani (povere bestie!). I camion passavano sollevando la polvere e un nugolo di bambini correva loro incontro gridando «ciunga» (termine dialettale per indicare la gomma da masticare) mentre i soldati lanciavano sbrancà di chewing gum e qualche caramella. I ragazzini si accapigliavano rotolandosi per terra per strapparsi il misero bottino. Ricordo che me ne stavo appoggiato al portone e non partecipavo. Forse per timidezza, forse per dignità.  

A non più di 2-3cento metri dalla citata Pontara, troviamo gli storici ponti di Debba, sovrastati dalle case operaie e dallo stabilimento Rossi. Oltre a mia madre, vi lavorarono come operai quattro o cinque tra zii e zie. La sorella maggiore di mia madre, Marcella moglie di Tilio, vi entrò ragazzina, quando la fabbrica era ancora un canapificio. All’epoca si lavorava immersi nell’acqua fredda corrente, con conseguenze ben immaginabili (gravi forme di reumatismi). Uno dei ponti scavalca il Bacchiglione, l’altro la mitica Rosta. Poco lontano, una decina di metri, il 4 novembre 1987 morì annegato (o meglio, fatto annegare) un ragazzino “sinto” inseguito dalla polizia, Paolo Floriani. La corsa di Paolo e Davide attraverso i campi, prima in moto e poi a piedi, finì con un tentativo di attraversare a nuoto il fiume. Già in salvo sull’altra sponda (quella dello stabilimento), Paolo tornò ad immergersi nelle fredde acque per salvare l’amico che stava annegando. Ormai circondato dai poliziotti (per niente impietositi dalla generosità mostrata dal ragazzo) Paolo tentò un’estrema fuga, ma venne inghiottito dal fiume (vedi l’articolo “Nomadi e scomodi” su “A” n 187, dicembre 1991).  

Ma torniamo a Site Pluto. Per Antonio Mazzeo fino al 1992 ha rappresentato «la punta avanzata della follia strategica USA e NATO che ritenevano possibile una guerra nucleare limitata». Nelle immense cavità artificiali che devastano il sottosuolo da Col de Ruga a Costozza (analogamente alla spesso dimenticata base del Tormeno, la Fontega, deposito di esplosivi sotto Arcugnano) vennero stivate testate nucleari di tipo W-79 (potenza tra i 5 e i 10 kiloton) e W-82 (soltanto 2 kiloton) per obici a corto raggio M-109 e M-110 e per missili Nike Hercules. Questi ultimi collocati poco lontano, a san Rocco, nella base dell’aeronautica italiana installata sulla sommità dei colli tra Costozza e Longare e probabilmente collegata a Pluto da percorsi sotterranei. Va ricordato che dal ’43 al ’45, tra le grotte, i massi e gli scaranti di questa zona impervia si era installato il comando della brigata partigiana Silva.  

Dopo essere già stato utilizzato durante le ultime “guerre balcaniche” e nei più recenti interventi in Africa, ormai conclusa la costruzione della nuova base per la 173° Brigata aviotrasportata nell’ex aeroporto Dal Molin e diventato pienamente operativo il comando di US Army Africa, Site Pluto non poteva mancare all’appello. Dal 2013 vi verrà insediato un Mission training complex, un centro di addestramento unificato dell’esercito statunitense con «aree funzionali per le operazioni tattiche e stanze per l’elaborazione di eventi addestrativi». Il nuovo impianto sarà in grado di ospitare giornalmente centinaia di soldati, sia statunitensi che italiani (i reparti d’élite per le guerre africane) e anche gli ospiti del “centro di eccellenza” COESPU per le forze di polizia straniere della caserma “Chinotto”, a Vicenza. Antonio Mazzeo e Manlio Dinucci non escludono che Site Pluto possa «servire per esercitazioni di guerra nucleare» e come «deposito-centro di manutenzione di armi nucleari». Soprattutto da quando gli F16 e i Tornado verranno sostituiti dai caccia F-35 di quinta generazione per i quali è stata progettata la nuova bomba nucleare B61-12 (al cui lancio si esercitano anche gli F-35 italiani). 

Forse allarmati dalla fuga di notizie, le autorità italiane sono intervenute per rassicurare l’opinione pubblica. Nel nuovo stabile «solo computer. La guerra sarà simulata». Un immenso videogioco per «simulare azioni di guerra e di peacekeeping»? Dichiarazioni che comunque sconfessano il precedente comunicato del comando USA di Vicenza che escludeva di voler «ampliare la base di Longare o di aprire una nuova base a Tonezza del Cimone». Interessante questa excusatio non petita per il riferimento a Tonezza. Sicuramente consentirebbe un facile accesso al previsto tratto Nord della A31, molto più comodamente che dalla base dismessa del monte Toraro (verso Folgaria, in prossimità di Malga Zonta dove vennere trucidati i partigiani della Garemi). Forse un’altra conferma dell’ipotesi che vede nell’autostrada Valdastico A31 un corridoio militare-industriale attraverso l’intera provincia vicentina, tra le più militarizzate della penisola. 

Nel 2009 a Site Pluto si svolse l’esercitazione Lion Focus, sotto la supervisione del Comando US Africom di Stoccarda e del Joint Warfighting Center di Norfolk (Virginia) per «preparare il quartier generale della Joint task force SETAF-US Army Africa nell’esecuzione del comando delle operazioni in Corno d’Africa in supporto delle missioni assegnate alla Combined Joint Task Force-Horn of Africa (CJTF-HOA), la forza militare di più di 2000 uomini di stanza a Gibuti». Nel maggio 2011, durante un’altra esercitazione a Longare, è stata attivata una specifica postazione di comando di “pronto intervento” (Early Entry Command Post – EECP) destinata a diventare la Forward Command Post (FCP), uno dei maggiori centri di comando per le operazioni di US Army Africa. Per Vicenza e dintorni, si profila un futuro di ulteriore militarizzazione del territorio. 

Gianni Sartori 
(n. 33 – novembre / dicembre 2012)