Il progressivo peggioramento delle condizioni materiali di vita per fasce sempre più larghe di popolazione –determinato dal processo di integrazione politica ed economica europea, dai suoi meccanismi di funzionamento, dai rapporti di forza in chiave geopolitica a cui esso risponde– sta restituendo al concetto di sovranità una piena cittadinanza nel dibattito politico, da cui per troppo tempo era stato rimosso. Negli ultimi tempi si registra un fiorire di individualità, gruppi e gruppuscoli di varia natura, tutti accomunati dalla rivendicazione del sovranismo quale carattere distintivo. Il loro peso numerico resta per ora marginale, ma non è azzardato prevedere che questo sia destinato a crescere, soprattutto nell’eventualità in cui qualche forza politica decidesse di sposare con decisione la causa dell’uscita dall’Unione Europea (UE). Diversi segnali in tal senso sono già in atto. 

Uno o molti sovranismi? 

Esaminando i diversi soggetti che si definiscono sovranisti, ciò che emerge in prima istanza è soprattutto la grande variabilità di contenuti concreti che veicolano. Si va da chi parla di “errore tecnico” dell’euro, proponendo di separare l’uscita dalla moneta unica dalla rottura con l’Unione Europea, a chi propone di tornare al Mercato Comune in alternativa al Mercato Unico (dimenticando come tutti gli strumenti che consentivano la repressione finanziaria e un certo margine di sovranità economica siano stati in realtà smantellati durante gli Anni Ottanta, prima di Maastricht e dell’evoluzione CEE-CE-UE). Da chi riconduce tutto alla sovranità monetaria sulla base di teorie signoraggiste a chi propone relazioni ancora più strette con gli USA in funzione anti-tedesca. Da chi, a sinistra, pur teorizzando l’uscita da euro ed UE, rifiuta il concetto di sovranità nazionale immaginando improbabili “euro del sud”, a chi vuol rompere con l’Unione Europea e riacquisire la sovranità per poi dar vita a una nuova integrazione continentale (magari ancora più spinta sul piano politico e culturale), geopoliticamente però alternativa al blocco atlantico.  

Alla luce di questa enorme pluralità di declinazioni colpisce non poco che, da più parti, si definisca esplicitamente il sovranismo come un pensiero politico o addirittura come un’ideologia, la quale dovrebbe costituire uno dei due elementi costitutivi della nuova dicotomia europeismo/sovranismo. Questa andrebbe a sostituirsi alla vecchia contrapposizione destra/sinistra, giudicata ormai priva di qualsiasi valore. È del tutto evidente che per molti gruppi cosiddetti sovranisti l’assunzione di posizioni di questo genere risponda all’esigenza di andare ad aggregare persone dall’orientamento politico e culturale più diversificato possibile. Tuttavia occorre rilevare che l’ascrivibilità del sovranismo al rango di pensiero politico o di ideologia si rivela una forzatura nel migliore dei casi, quando non una vera e propria mistificazione. Se infatti prendiamo in considerazione i contenuti concreti di questo concetto, ciò che emerge è che –al netto delle possibili declinazioni– il minimo comune denominatore si riduce alla rivendicazione della sovranità, concepita come esigenza irrinunciabile affinché uno Stato possa dotarsi di politiche (economiche in primis) rispondenti ai propri interessi. Tuttavia questa conditio sine qua non può essere posta al servizio di prospettive politiche, progetti di società, interessi di classe assai differenti, i quali determineranno necessariamente anche differenti concezioni dell’interesse nazionale. 

Non si può quindi considerare il sovranismo come un pensiero politico o un’ideologia, ma come una rivendicazione forte che semmai costituisce una condizione essenziale per concretare una pluralità di progetti e prospettive, tra loro spesso incompatibili. Non si ripeterà quindi mai troppo che un sovranismo non vale un altro, pena il rischio di aderire a movimenti che finiscano col perorare un bel salto dalla padella nella brace e nulla più. Come più volte sottolineato su queste pagine, il concetto di liberazione nazionale è solo una delle due gambe che devono dare corpo al progetto politico di Indipendenza, essendo l’altra costituita dall’idea di liberazione sociale. Se quest’ultima da sola produce soltanto visioni astratte e incapacità di incidere concretamente nella realtà, la liberazione nazionale non garantisce di per se stessa una trasformazione dei rapporti sociali e, se priva della complementare rivendicazione sul terreno economico, rischia di riproporre all’interno della nazione le stesse dinamiche e gli stessi rapporti di classe che caratterizzano la società odierna. 

Fraintendimenti dei concetti di nazione e patria 

La tendenza ad attribuire al sovranismo il rango di pensiero politico o di ideologia ha –come spesso accade– diverse motivazioni, ma una delle cause principali risiede certamente in un fraintendimento essenziale di cui spesso è stato fatto oggetto il concetto di nazione. Fraintendimento che caratterizza, per ragioni opposte, sia l’approccio di chi lo pone al centro della propria proposta politica sia quello di chi invece lo demonizza auspicandone il superamento, e che si può sintetizzare nell’attribuirvi un significato politico determinato, sempre uguale a se stesso indipendentemente dai contesti storici, culturali e geopolitici. Eppure la nazione ha storicamente costituito «un elemento decisivo delle lotte di liberazione dei popoli oppressi e, nello stesso tempo, di molteplici disegni di oppressione e di conquista, delle politiche imperialistiche delle potenze europee e delle ideologie anti-imperialistiche dei paesi emergenti del Terzo Mondo (…) legata di volta a dottrine democratiche, progressiste e pacifiste e a orientamenti autoritari, reazionari e militaristi»1. Non solo: anche sul terreno dei rapporti economici e sociali la nazione ha costituito di volta il cardine di progetti politici di segno opposto, del capitalismo liberista o del corporativismo fascista così come del socialismo. In conseguenza di questo non si può fare a meno di evidenziare la natura estremamente diversificata sul piano ideologico che ha storicamente caratterizzato i vari movimenti nazionalisti, i quali sono stati, a seconda dei casi, veicolo di concezioni conservatrici sul piano economico e sociale (esempi potrebbero essere i nazionalismi dell’Europa orientale negli anni successivi alla caduta del Muro di Berlino) o all’opposto di idee fortemente avanzate in senso socialistico (pensiamo ad esempio a Cuba, al Vietnam, ai movimenti bolivariani dell’America Latina o a quelli delle nazioni senza Stato come baschi, corsi, palestinesi, ecc.). E difatti, contrariamente a quanto sostenuto da una certa vulgata, le rivendicazioni nazionali sono state portate avanti da blocchi sociali differenti a seconda dei contesti e dei frangenti storici, di volta in volta più “borghesi” o più “proletari”, in una casistica che abbraccia una molteplicità di varianti. «La dottrina centrale del nazionalismo», infatti, «non fornisce nulla più che una cornice basica per un ordine sociale e politico del mondo, e va completata con altri sistemi d’idee e dei particolari momenti distintivi che interessano la condizione di una comunità in un preciso momento della sua esistenza»2. Va d’altra parte sottolineato che soltanto il binomio con prospettive effettivamente progressiste sul piano economico-sociale è risultato essere coerente con quei pilastri fondamentali di ogni rivendicazione nazionale basati su sovranità, indipendenza e libertà, nonché con la valenza “comunistica” insita nel concetto stesso di nazione Valenza che va infatti a investire la questione di ciò che avviene sul e nel territorio, che non può essere visto in ultima istanza come gestione privatistica, dal modo di produzione sul territorio all’impatto ambientale alla relazione con i beni comuni. Difficile –per non dire impossibile– che essi trovino una concretizzazione all’interno di un sistema capitalista che naturalmente ha insita la vocazione a trascrescere in imperialismo. Il capitalismo non ha mai avuto e non avrà mai “nazione”. C’è una strutturale alterità di interessi e di ‘orizzonti’. Le grandi oligarchie imprenditorial-finanziarie necessitano semmai dell’appoggio determinante di uno Stato, con cui si relazionano per l’affermazione dei propri interessi particolari, sia dentro sia esternamente ad esso, richiedendone un ‘accompagnamento’. Discorso simile per le ideologie di matrice fascista le quali, negando alle altre nazioni i diritti che rivendicano per la propria, si vanno a connotare piuttosto come sciovinismi, finendo oltretutto col teorizzare il superamento della nazione stessa in chiave imperiale, con la relativa politica estera aggressiva d’accompagno. Sul versante interno poi risultano agire in maniera de facto anti-nazionale, mediante la politicizzazione partitica dell’identità (durante il Ventennio ad esempio anti fascista divenne sinonimo di anti-italiano), il razzismo volto a discriminare componenti della stessa comunità nazionale (la quale si struttura su basi culturali – e in quanto tali soggette a mutamenti e trasformazioni–, storiche e politiche) e il tentativo di cancellazione delle minoranze nazionali.  

La considerazione del sovranismo come “ideologia” in sé autosufficiente si coniuga poi facilmente con la tendenza ad attribuire ai concetti di patria e nazione una valenza metafisica e trascendente, sulla scorta dell’eredità culturale del Romanticismo, che peraltro influenzerà in maniera significativa il Risorgimento. Ora, se nel XIX secolo poteva questa essere una caratteristica anche di concezioni democratiche, come nel caso del pensiero politico di Mazzini, non si può ignorare né l’errore di fondo di un simile approccio né l’uso nefasto che fascismo e nazismo ne hanno fatto durante il XX secolo. A tale proposito bisogna chiarire come le idee di patria e nazione –evocando la “terra dei padri”, l’appartenenza ad una storia e ad una cultura, la condivisione di un destino comune– assumano sì una connotazione trascendentale, nel senso che trascendono l’esistenza singolare dell’individuo mettendolo in relazione con altri soggetti ed altre generazioni, ma che in nessun caso sconfinano nella dimensione del sacro e del trascendente, realtà al di là dell’esistenza umana in generale. Va inoltre focalizzata correttamente la relazione che intercorre tra idee universali quali libertà, giustizia, uguaglianza, fraternità e le categorie di patria e nazione, che costituiscono semmai il terreno concreto (e in quanto tale imprescindibile) nel quale le prime possono essere sostanziate e variamente declinate. Una cornice da cui non sono certo banditi i conflitti di classe, ben lontani dal loro scioglimento idilliaco in nome di un presunto interesse nazionale predeterminato e oggettivo, i cui contenuti sono invece determinati dalle condizioni materiali e dai rapporti di forza tra le varie componenti sociali. La confusione di piani che è insita nelle concezioni metafisiche e trascendenti delle idee di patria e nazione diventa per contro il presupposto teorico e filosofico di distorsioni solipsistiche, scioviniste e razziste e non a caso ha costituito parte integrante della retorica ‘patriottarda’ dei fascismi storici.  

Conclusioni 

Mai come in questa fase storica, estremamente delicata, si rende fondamentale da un lato affermare con forza che lo Stato nazionale costituisce l’unica cornice capace di tradurre nella pratica concetti come quelli di volontà popolare, democrazia e anche socialismo. La rivendicazione nazionale è oggi la più efficace a contrastare le tendenze globaliste e anti-democratiche del capitalismo, in particolar modo della sua variante liberista. Dall’altro lato è invece essenziale collocare l’idea di sovranismo nella sua giusta dimensione, e a tal fine occorre fare lo stesso preliminarmente con i concetti di nazione e di patria. La risultante è data dalla consapevolezza che il sovranismo, lungi dal poter essere pensato come ideologia, è una rivendicazione imprescindibile ma che in sé non basta a definire un progetto politico. Va dunque ribadita la necessità di un sovranismo non qualunque, che nel caso di Indipendenza si traduce nella convinzione che liberazione nazionale e liberazione sociale sono due gambe che devono procedere insieme. O detto in altre parole: la questione nazionale è principale, la questione di classe è fondamentale.  

Dario Romeo 
(Indipendenza n. 35 – novembre/dicembre 2013) 

1. Francesco Tuccari, La nazione, Editori Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 11-12. 

2. Anthony D. Smith, Nazioni e nazionalismo nell’era globale, Asterios Editore,  Trieste 2000, p. 158.