Gli anni dell’incontrastata propaganda istituzionale sulle magnifiche sorti dell’Unione Europea (pace, progresso, prosperità) appartengono ad una fase che si può ritenere superata, a fronte dei disastri economici e sociali che l’unionismo euroatlantico ha prodotto e sta acuendo, e del malessere e dell’ostilità sempre più diffusi, non solo in Italia, verso la UE. Sta tornando la consapevolezza dell’importanza politica della sovranità e dell’indipendenza nazionali, assi decisivi che “Indipendenza” rivendica dalla sua costituzione (metà degli anni Ottanta del secolo scorso). La nascita, recente, di raggruppamenti sovranisti molto differenti tra loro, in parte si connette con quanto detto sopra, in parte è espressione di operazioni opportunistiche e pure depistanti per chi ha interesse a vanificare le potenzialità di cambiamento (geo)politico, economico e sociale –intrinseche ma non unidirezionali– proprie di una (ri)acquisita sovranità. La linea di demarcazione tra unionismo europeo e (ri)conquista della sovranità e dell’indipendenza nazionali, con le rispettive varianti interne, è e sarà la chiave di volta per comprendere accadimenti, proposte, decisioni e, nel campo della liberazione nazionale, farà chiarezza sulla natura delle forze politiche e dei relativi progetti.

La strategia unionista è chiara: caratterizzarsi come riformismo istituzionale, scaricando sulla natura non compiutamente unitaria del funzionamento europeo la responsabilità delle criticità in atto. Quindi: bilancio unitario, risorse proprie europee (grazie al prelievo diretto presso i contribuenti), esercito unico con direzione politica europea. Si punterà ad una riforma dei Trattati, con qualche potere decisionale in più al Parlamento europeo come cosmesi democratica di cornice. Motore di questa strategia le crisi, per forzare passaggi verso il completamento unionistico del sistema al cui interno, sulla base di rapporti di forza, saranno centri di potere allocati in Stati, come in questo presente storico Germania e Francia innanzitutto, ad esercitare preminenza e a dettare l’agenda sul da fare per i propri interessi.

Il sistema UE-euro, che produce squilibri così grandi, non potrà reggere. Quali i tempi? Chi gestirà la transizione? Verso quale prospettiva? Non basta la criticità di una situazione oggettiva a rendere possibile un cambiamento radicale; serve certamente, e non solo, un soggetto politico capace di intervenire sulle possibilità che la situazione offre. Quindi un soggetto non vale un altro. In tal senso non è negativo che in Austria, Olanda e Francia le estreme destre sedicenti sovraniste abbiano segnato un flop elettorale. In Italia, le ripercussioni del voto referendario del 4 dicembre sul panorama politico italiano probabilmente determineranno, dopo le elezioni del 2018, una coalizione di larghe intese che troverà il denominatore comune sul riformismo unionistico di cui sopra, forse dopo una seconda tornata elettorale a stretto giro di tempo dalla prima che possa aver visto il M5S vincere senza poi possibilità di governare. Le premesse per un nuovo tentativo di forzatura autoritaria delle istituzioni e delle regole elettorali sono nelle cose. Sul versante che c’interessa, quello della sovranità e della liberazione nazionali, la rappresentanza dei risorgenti sentimenti nazionali nella società italiana è questione all’ordine del giorno. Nell’area ‘sovranista’ chi già nel 2017, chi il prossimo anno alle politiche, chi a seguire aspira a presentarsi alle elezioni (comunali, regionali, politiche, europee). Allo stato, tra autoreferenzialità e aspirazioni di ‘cartelli elettorali’, tutto è ancora all’insegna della marginalità di realtà minuscole affacciatesi all’impegno politico da poco, con limiti enormi sul come agire, sul progetto da costruire per il dopo, con marcate differenze sia tattiche che strategiche, per non dire di ‘altro’. Pur sussistendo nel Paese una crescente domanda sovranista in attesa di una offerta politica, è avventuristico presentarsi all’insegna del poi si vede, come se il resto debba quasi venire da sé. Non è questa la sede per analizzare la complessità della situazione, unitamente ad aspetti importanti di natura internazionale e anche interna di cui tenere conto, considerando che ben presto tutti i partiti assumeranno strumentalmente, per ottenere voti, posizioni critiche ‘riformistiche’ sulla UE. Val la pena soffermarsi a grandi linee sul ruolo che può svolgere “Indipendenza”. La crescita numerica ed un’estesa referenza nel territorio nazionale dell’associazione, costituita due anni fa, sono la conditio sine qua non per dare corpo al suo progetto. Le si persegue migliorando la comunicazione sulle reti sociali, incrementando le iniziative nei territori, radicandosi in ambiti di intervento politico-sociale. I due documenti fondativi (quello generalista e gli 8 punti) saranno via via irrobustiti da ‘tesi’ su ambiti specifici, come ad esempio emigrazione / immigrazione e lavoro, oggetto di confronto alla V^ assemblea del 16 settembre prossimo. È necessario trasmettere consapevolezza sulla causa principe di tutti i nostri problemi, l’Unione Europea, e sulla connivenza subalterna di centri imprenditorial-affaristici e delle forze politiche italiane in un mix di interessi privatistici e condiscendenza servile. È necessario rimarcare l’insussistenza ideologica unionista sull’inadeguatezza degli Stati nazionali ad affrontare certi problemi: l’ormai ampio lasso di tempo a disposizione ha mostrato che l’impianto europeo fa tremendamente peggio.

D’altro canto alcuni punti da ‘grande narrazione’ che sentiamo andare per la maggiore nell’area ‘sovranista’ non ci convincono: 1. che per il riscatto politico e sociale dell’Italia sia bastevole (e possibile!) tornare alla Prima Repubblica; 2. che i rapporti (politici, sociali, economici) di società siano già scritti nella Costituzione italiana del 1948 e che si tratti soltanto di applicarla; 3. che esista solo il ‘nodo’ della Germania e del relativo ‘partito tedesco’ italofono (e non anche quello principale della subalternità a tutto campo pluridecennale agli USA e al relativo ‘partito americano’ italofono).

Si rischia di alimentare convincimenti ingannevoli, aspettative illusorie, prospettive senza sbocco. È necessario sottoporre a critica costruttiva quelle argomentazioni, interrogarsi su come si sia arrivati a questo punto, cosa non si deve ripetere, quali forze (interne ed estere) non accetteranno affatto di buon grado un’Italia sovrana e indipendente che si rimettesse in piedi, ancor più se con orientamenti politici inediti nella storia del nostro Paese. Presentare i vantaggi possibili di una riconquistata sovranità nazionale è importante ma non basta. È ovviamente necessario essere preparati, circostanziare le critiche, fare un’analisi delle forze reali interessate ad una prospettiva di liberazione, prospettare il senso di una soluzione nazionale. Struttura organizzativa, crescita numerica e progetto vanno iscritti in una strategia d’azione e di obiettivi, in cui il passaggio elettorale è contemplabile, ma da declinare in funzione di un percorso di più ampio respiro che gli dia senso, una coagulazione di interessi e passioni che consentano la costruzione di una lotta di liberazione vittoriosa.

Quale progettualità di liberazione articolare, su che piani intervenire, con quali obiettivi strategici intermedi, su che basi radicare consensi, come coagulare attorno all’obiettivo strategico della liberazione nazionale larghi strati della nostra società, come declinare un patriottismo repubblicano, socialmente avanzato quanto a rivendicazioni e progettualità, come far dialogare più Stato, più democrazia, più sicurezza sociale (lavoro, sanità, previdenza, scuola, ecc) con sovranità e indipendenza nazionale? È la sfida che poniamo e si pone “Indipendenza”.

Indipendenza
(n. 42 – luglio/agosto 2017)